L'eros nell'antica roma,l'amore i tradimenti e le perversioni di un'epoca che ha lasciato molte tracce di sè nei costumi e nella mente dell'uomo moderno. Tutto cambia e tutto rimane quello che una volta era, ancora una volta sarà.
Scena erotica, da Pompei - Napoli, Museo Archeologico Nazionale
"Le strappai la tunica; trasparente non era di grande impaccio, ella tuttavia lottava per restarne coperta; ma poichè lottava come una che non vuole vincere, rimase vinta facilmente con la sua stessa complicità. Come, caduto il velo, stette davanti ai miei occhi, nell'intero corpo non apparve alcun difetto. Quali spalle, quali braccia vidi e toccai! La forma dei seni come fatta per le carezze! Come liscio il ventre sotto il petto sodo! Come lungo e perfetto il fianco, e giovanile la coscia. A che i dettagli? Non vidi nulla di non degno di lode. E nuda la strinsi, aderente al mio corpo. Chi non conosce il resto? Stanchi ci acquietammo entrambi. Possano giungermi spesso pomeriggi come questo!"
( OVIDIO, Amori, I, 5. )
TRADIMENTO, ABORTO
E FILTRI AMOROSI
Scene erotiche su lucerne in terracotta,
da Pompei - Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Nell'antica Roma la bigamia era punita ma per effetto delle vedovanze e dei divorzi molti uomini e donne finivano per sposarsi più di una volta. Erano frequenti i matrimoni fra persone con una forte differenza di età ciò portava come si può immaginare a casi di adulterio che erano regolati inizialmente con una legge non scritta ma che veniva regolarmente praticata; l'amante della moglie colto in flagrante era alla mercè del marito tradito che poteva sbizzarrirsi infliggendogli varie pene: la tortura del rafano o quella del mugile, con la quale il malcapitato veniva sodomizzato con le radici assai piccanti di rafano o con un mugile, pesce assai noto per la sua voracità; altre pene consistevano nel taglio del naso e delle orecchie, l'evirazione, la sodomizzazione personale da parte del marito tradito o dei suoi schiavi o all'imposizione di praticare la fellatio, che era ritenuta dai romani quanto di più abbietto per un cittadino libero.La donna invece veniva più frequentemente condannata alla morte per inedia o sepolta viva.
Le donne Romane ricorrevano spesso alla pratica dell'aborto (abortum facere). Giovenale ne da una descrizione calzante: " Giulia libera gli uteri fecondi con ogni sorta di sostanze abortive" e dice che i suoi farmaci erano così potenti da rendere sterile una donna o da uccidere il feto nel suo grembo. Tale pratica fù regolata dalla Lex Cornelia proposta da Silla nell'81 a.C. con cui si puniva con la deportazione e la confisca dei beni chi produceva l'aborto e se questo portava alla morte della donna che vi si sottoponeva, stessa sorte toccava a chi lo praticava.
Per attirare la donna o l'uomo desiderato, si ricorreva spesso anche a pratiche magiche come filtri amorosi, frasi magiche ecc. Si racconta che Caligola impazzì per un filtro datogli dalla moglie Cesonia. Si praticavano anche riti simili a quelli vodoo, come quello delle statuette che venivano messe sul fuoco: una era fatta di cera e si doveva sciogliere (come il cuore della persona amata) l'altra era fatta di terra e si induriva ( come il cuore dell'amata nei confronti degli altri spasimanti) diventando terracotta. Altre pratiche consistevano in sacrifici umani che spesso e volentieri coinvolgevano giovinetti che perdevano così la loro vita in favore di un'amore che non si sarebbe mai avverato.
OMOSESSUALITA' E PEDERASTIA
Statuetta raffigurante un Priapo che si versa addosso il contenuto di un vasetto di profumo, da Portici.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
La società romana anche se rifiutava gran parte dei costumi che contraddistinguevano quella greca ne dovette subire gli influssi introdotti dal sempre maggior numero di schiavi di origine ellenica. Uno di questi costumi era la pederastia che i romani chiamavano "vizio greco" ed era considerata un segno di debolezza rispetto al fiero e virile carattere con cui si identificava il cittadino romano. Si riteneva che portasse alla corruzione dei giovani romani, infatti molti giovinetti erano nelle mire sessuali di molti maschi adulti e per questo vennepubblicata una legge (Lex Scatinia) in materia di pederastia secondo la quale in caso di rapporto fra adulti e puer o praetextati (da praetexta, la tunica bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi ancora non maturi sessualmente) veniva punito solo l'adulto.
L'omosessalità non era condannata se praticata con schiavi e liberti (in quanto era dovere di questi compiacere in tutto e per tutto le volontà del loro padrone), ma era deprecabile che un cittadino libero assumesso un ruolo passivo nei confronti di un'altro suo pari. La Lex Scatinia diceva che in caso di omosessalità tra due cittadini liberi, veniva punito quello che tra i due assumeva l'atteggiamento passivo. La multa era molto salata e ammontava a circa 10.000 sesterzi. Anche il grande Cesare non fù risparmiato da dicerie che lo ritenevano omosessuale, in quanto dopo la conquista della Gallia si diceva che avesse una relazione amorosa con il Re di Bitinia, Nicomede; e sembra che i suoi soldati cantassero "Cesare ha sottomesso la Gallia. Nicomede ha sottomesso cesare" e gli avversari politici si rivolgevano a lui chiamandolo direttamente "regina", ma lui non se la prendeva e sfoderava a sua difesa le conquiste femminili: Postumia, Lollia, Tertulla e mucia, tutte mogli di illustri cittadini romani. Altro personaggio rimasto famoso per la sua omosessualità era l'Imperatore Adriano che per la sua relazione con Antinoo alla cui morte avvenuta per annegamento nel fiume mentre l'imperatore era in viaggio in Egitto, si era lasciato andare alla disperazione e successivamente aveva dato il nome alla città da lui fondata in quel luogo: Antinoe. Con l'avvento dell'impero si assistette ad un'ondata moralizzatrice fino ad arrivare nel 438 d.C. con Teodosio II, alla condanna al rogo di tutti gli omosessuali passivi. Per finire invece Giustiniano espande la pena a tutti gli omosessuali ia attivi che passivi.
Dipinto erotico nella Casa del Centenario - Pompei
Roma prevedeva tutta una serie di leggi per regolamentare la prostituzione. I lupanara dovevano essere aperti solo di sera e collocati solo fuori città. Le prostitute dovevano essere registrate e non potevano mantenere il nome di famiglia. Giovenale racconta che Messalina frequentava i postribula, travestita e sotto falso nome (Lycisca). Le prostitute dovevano farsi riconoscere indossando una veste speciale e rinunciare alle bende che le matrone oneste mettevano sui capelli. Il fenomeno della prostituzione si andava sempre più espandendo e ci fu chi prese la palla al balzo per rimpinguare le casse dello stato, infatti Caligola introdusse una tassa per chi praticava questa "professione". Il termine lupanare viene da "lupa", il nome con cui venivano chiamate le meretrici; anche la mitologia romana dice che gli stessi fondatori di Roma, Romolo e Remo erano stati adottati da una "lupa", nome ambiguo, infatti Acca Laurentia la moglie del pastore che li aveva trovati era una "lupa" cioè prostituta; altri nomi ancora oggi conosciuti sono "puttana" dal latino putere, puzzare e "troia" altra radice dispregiativa che fa riferimento alle femmine del maiale e quindi "troiaio", porcile, il luogo fetido e sporco dove stavano le prostitute. Grande sviluppo alla prostituzione fu dato dall'avvento del culto della Venere Ericina che differentemente dall'antico culto dell'antica Venere tutta castità praticato fino a quel momento era caratterizzato da una spiccato portamento verso la sessualità. Il culto della Venere Ericina venne importato a Roma dalla Sicilia per propiziarsi i suoi favori in vista dell' attacco a Cartagine durante la seconda guerra punica, infatti, la Sicilia era il punto di partenza della spedizione romana; ma la particolarità consisteva nel fatto che le cerimonie propiziatorie alla dea erano gestite da sacerdotesse che praticavano la prostituzione rituale, tutto questo rappresentò una sorta di permesso ad intraprendere la "professione". Successivamente vennero fatti vari tentativi di reistaurare la versione casta della dea, ma ormai la Venere siciliana aveva preso il sopravvento fino a diventare addirittura simbolo di fecondità, fertilità e successo. Alla fine dell'epoca repubblicana la situazione a Roma si era tamente ingigantita che il fenomeno della prostituzione era diffuso in ogni angolo della città. Nel Satyricon si racconta che Encolpio dopo essersi perso per le vie di Roma chiede indicazioni ad una vecchietta la quale essendo però una procacciatrice di clienti lo accompagna direttamente in un bordello.
La diffusione della pratica dell'amore mercenario e la mancanza di adeguate norme di igiene, favorì il propagarsi delle malattie sessuali; il medico romano Celso, riferendosi quasi certamente alla Gonorrea o Scolo descrive una malattia dell'epoca in questi termini:" La regione sessuale va soggetta ad una malattia che è un flusso di semenza, che senza stimolazione erotica, senza visioni notturne, esce con abbondanza tale da far morire il paziente dopo un certo tempo, per consunzione."; Quinto Sereno descrivendo alcune ulcerazioni sui genitali dice: " strane piaghe ulceranti deturpano fortemente ed in modo orribile le parti genitali, esse si possono curare con i rami di rovo."; Marziale riferendosi presumibilmente alla sifilide: " Una malattia vergognosa ha distrutto la ghiotta parte.", mentre sia Celso che Plinio fanno riferimento ai Condylomata, malattie di trasmissione sessale oggi conosciute come Condilomi o Creste di gallo.
A parte tutto , i Romani apprezzavano molto l'amore a pagamento, ciò è dimostrato dal fatto che Domiziano, per attirarsi le grazie del popolo, durante i festeggiamenti per la vittoria riportata sui Germani, fece lanciare i gettoni per una "consumazione" nei lupanari.