ASSOCIAZIONE ARCHEOLOGICA VOLONTARIATO MEDIOVALDARNO |
Comune di Empoli
Soprintendenza Archeologica per la Toscana j
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"UNA DOMUS ROMANA AD EMPOLI" a cura di Sandra Rustici Già in un intervento in occasione della mostra "Archeologia del territorio di Empoli" nel 1984, Giuseppe Pucci esprimeva il desiderio di più ampi e approfonditi studi sulla presenza romana nel Medio Valdarno ed affermava: Per il momento le risposte a questi problemi (la mancanza di una sicura localizzazione del nucleo originario dell'insediamento empolese, quale fosse l'assetto originario, quale l'estensione cronologica e spaziale della presenza romana, n.d.r.) sono molto parziali e, necessariamente, ipotetiche." Dal 1984, grazie all'attenzione ed all'azione costante della Associazione Archeologica del Medio Valdarno, ma anche ad una maggiore sensibilità in ambito archeologico per lo studio e la ricerca delle realtà territoriali e locali, si sono accumulate molte più prove ed argomenti a sostegno di una tesi che quattordici anni fa era soltanto ipotizzabile: la sicura presenza in epoca romana di un centro urbano organizzato ed efficiente sotto quello che adesso è il centro storico di Empoli. Senza dubbio numerose testimonianze e ritrovamenti facevano ipotizzare una continuità anche se, non necessariamente, una organicità di vita dell'insediamento abitativo empolese dal l'epoca ellenistica, attraverso il medioevo, fino ai giorni nostri: basti pensare, per citare i più noti, alla stele di Dianella, recante un'iscrizione della famiglia dei Gavii, oppure alle due statue acefale di togati ritrovate nell'Ottocento assieme ad un frammento marmoreo di architrave con fregio vegetale, facenti parte di un edificio funebre e risalenti alla prima metà del I sec. d.C. (oggi al camposanto monumentale di Pisa). Questi ritrovamenti, però per quanto numerosi, furono sempre occasionali e decontestualizzati; soltanto nel 1982 furono condotte, sotto l'attuale Gioielleria Pratesi, delle approfondite indagini che, con la direzione dei dott. Fausto Berti, portarono all'individuazione di importanti depositi archeologici, nonchè alla scoperta di due basamenti in pietra (ospitati attualmente presso l'ex-convento dei PP. Agostiniani) di colonne in mattoni, insieme ad un basolo quadrato, probabile indizio della presenza di una strada. Lo studio che seguì questi rinvenimenti ebbe, tra l'altro, come risultato, quello di assegnare ad un tipo di anfora la denominazione di anfora di Empoli. Nel settembre del 1991, in seguito, alla demolizione ed in previsione della successiva ristrutturazione urbanistica della ex-vetreria Del Vivo, si diede inizio all'indagine archeologica del sito la cui importanza era già nota dal 1957, ma durante lo scavo si è avuta la prova che di esso si aveva già conoscenza in epoca precedente in quanto la costruzione di una canaletta risalente agli anni tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento aveva intaccato lo spigolo nord-ovest del pavimento. In quell'anno Mario Bini aveva segnalato che, durante lo scavo per la messa in opera di un forno a bacino all'interno della stessa vetreria, era venuto alla luce un brano di un grande mosaico bianco e nero poi reinterrato.Sulla scorta di questo indizio l'Associazione Archeologica del Medio Valdarno, sotto la direzione della dott.sa Giuseppina Carlotta Cianferoni, ispettore della Soprintendenza Archeologica della Toscana, ha compiuto uno scavo stratigrafico che si è concluso nel 1994. Dopo aver indagato livelli di frequentazione che dal periodo Ottocento-Novecento scendevano fino al medioevo, venivano individuate strutture, in particolare pavimenti, ipotizzabili come appartenenti ad una domus romana la cui vita deve essere continuata senza interruzioni dal periodo repubblicano fino alla piena età imperiale. Si può parlare di una domus in quanto essa, come tale, si collocava all'interno di un vero e proprio tessuto urbano testimoniato, oltre che dal già citato scavo Pratesi del 1982, da numerosi rinvenimenti di strutture murarie e pavimenti nel centro di Empoli. Nel 1987, durante i lavori per la messa in opera dell'ascensore del palazzo comunale, in via G. Del Papa venne rinvenuto, su segnalazione dell'architetto M. Ristori allora tecnico del Comune di Empoli, un brano di mosaico che attualmente risulta disperso, in tessere cubiche di marmo bianco e nero inserite in una base in cocciopesto; di essa era andato però perduto ogni rapporto con eventuali strutture. Nel 1995, in occasione di lavori all'interno della pasticceria Beppino e Moreno in via Ridolfi, furono ritrovati due brani di pavimento in conglomerato di ghiaia fluviale in uno strato di malta successivamente levigato; uno dei due frammenti conservava ancora tracce di una fascia a decorazione musiva espoliata in antico. Anche in questo caso non vennero rinvenute tracce di strutture attinenti. Infine nel 1996, in un cortile retrostante il Palazzo Ghibellino in piazza Farinata degli Uberti, è stato scoperto un pavimento a tegoloni rettangolari intorno ad un pozzo. Questi ultimi ritrovamenti parrebbero trovare riscontro con una serie di segnalazioni risalenti ad anni meno recenti, quali la notizia, riferita da testimoni oculari del rinvenimento negli anni sessanta, durante lavori all'interno della sede della BNL in via Paladini, di basamenti e frammenti di colonne che sarebbero poi stati lasciati in posto, oppure quella riguardante la scoperta, alla fine degli anni '80 sotto la Profumeria Zalli in via Santo Stefano, di un muro semicircolare di due metri di altezza, decorato a tessere bianche e nere che potrebbe far ipotizzare un ninfeo; cosi come altre considerevoli strutture sarebbero state viste, prima di essere distrutte, durante lo scavo - negli anni '60 - per le fondamenta della Coop di via Ridolfi. Tutti questi rinvenimenti, aldilà dei ragionevoli dubbi circa l'attendibilità delle testimonianze oculari, insieme ai recuperi più recentemente effettuati dall'Associazione Archeologica del Medio Valdarno, sembrano creare un quadro omogeneo che depone a favore dell'attribuzione delle strutture scoperte sotto l'ex-vetreria Del Vivo ad una domus. Già M. Ristori, a cui si deve il sicuro riconoscimento della centuriazione romana nella bassa Valdelsa , aveva sostenuto l'ipotesi secondo la quale i reperti provenienti dallo scavo Del Vivo non potevano appartenere ad una villa, in quanto troppo vicini alle strutture dello scavo Pratesi rispetto alla distanza ben più grande che di regola intercorreva tra due ville. La sua ipotesi però non poteva essere suffragata dai dati di cui solo recentemente siamo venuti in possesso e che ci permettono di inserire le strutture del Del Vivo all'interno di un contesto che va sempre più assumendo la connotazione di un vero centro urbano. Fino ad oggi non possediamo elementi, quali iscrizioni o altri documenti, che connotino Empoli come colonia romana o municipium. D 'altro canto la vicinanza di Empoli a quattro importanti colonie quali Fiorentia, Pisae e Volaterrae, Luca, nel cui territorio doveva rientrare Empoli, esclude in via di principio questa ipotesi. E più facile ipotizzare l'esistenza di un insediamento urbano privo di un preciso riconoscimento a livello statale ma ben sviluppato ed articolato grazie all'attività di smistamento delle merci in risalita da Pisa ed in discesa da Firenze, con una serie di diramazioni anche all'interno del territorio circostante, attraverso la via fluviale dell'Arno e la strada consolare Quinctia. L'importanza di Empoli come scalo fluviale non è testimoniata finora dal ritrovamento di strutture portuali di età romana, anche se la presenza di un porto in epoca medievale potrebbe far pensare ad una tradizione più antica protrattasi nel tempo. La ricchezza della Empoli romana derivava indubbiamente anche dalla produzione in loco e dalla commercializzazione di contenitori per l'immagazzinamento, la conservazione ed il trasporto di prodotti agricoli locali quali vino ed olio di cui ricorda l'abbondanza e la qualità Plinio il Vecchio. A questo proposito il riconoscimento dell'anfora OSTIA IV come anfora di Empoli, in base ai reperti ritrovati nel recupero sulla sponda dell'Arno in località Avane, assume un'importanza fondamentale ai fini della comprensione del benessere economico di cui godevano i cittadini di Empoli ancora nel II-III sec. d.C. In un momento come il II sec. d.C. in cui l'economia produttiva di tutta l'Italia romana entrò in crisi e i commerci italici nell'ambito delle province europee subirono una progressiva contrazione fino a scomparire dei tutto, volgendosi via via al traffico interno per giungere, coi III sec. d.C. ad una produzione e ad un consumo limitati all'ambito della proprietà agricola, Empoli riuscì non solo a mantenere efficiente e competitiva la sua economia agricola ed in particolare, stando alle evidenze archeologiche, la viticoltura, ma fu in grado addirittura di commerciare i suoi prodotti su larga scala producendo un'anfora vinaria di serie che riprende solo in parte la forma dell'anfora OSTIA III - IV diffusa nei territorio dell'Etruria interna e costiera, destinandola ad identificare l'intera produzione vinaria empolese. La vastità della rete commerciale facente capo ad Empoli è documentata, nel corso del II sec. d. C., anche da una massiccia importazione che trova conferma nei rinvenimento di anfore e contenitori provenienti da altre zone dell'Italia ma anche dalle province europee (Spagna e Francia) e dai territori transmarini (Egeo ed Africa settentrionale). Se Empoli nel II sec. d.C. appare ancora così vitale e produttiva, c'è ragione di temere che ancor più dovesse esserlo nella prima età imperiale, particolarmente in età giulio-claudia, quando la ricchezza e la capacità produttiva dell'agricoltura e dell'artigianato legati al commercio avevano raggiunto nell'Etruria settentrionale, come del resto in tutto il territorio italiano, uno straordinario sviluppo. In questo quadro di grande prosperità ben s'inserisce la domus del Del vivo che, data la vicinanza alla riva dell'Arno, il quale peraltro ancora in epoca medioevale scorreva più vicino al sito della domus, non appare improbabile potesse estendere la propria area fino alla sponda del fiume e usufruire direttamente dell'importante via fluviale diventando un ottimo punto di riferimento per il commercio sia d'importazione che d'esportazione. Della grande area che doveva essere occupata dalla domus non è rimasta ed è stata indagata che una piccola parte a causa della presenza degli edifici moderni che, sovrapponendosi ad essa, hanno impedito il naturale sviluppo delle indagini come pure a causa delle attività della vetreria, protrattesi per oltre un secolo con un ulteriore incremento nel secondo dopoguerra, che in più punti si sono protratte in profondità, sconvolgendo o distruggendo la situazione sottostante. Ciononostante sono stati individuati vari ambienti della domus soprattutto grazie al rinvenimento di almeno tre pavimenti che vanno ad aggiungersi al grande opus tessellatum già segnalato nel 1957. In base alla tipologia dei pavimenti si è accertata la frequentazione della domus tra la metà del I sec. a. C. ed il I sec.d.C., ovvero dalla tarda età repubblicana al primo impero; tuttavia il ritrovamento di frammenti risalenti alla fine del II sec. a. C. in uno strato incontaminato sotto al pavimento più antico, quello in cubi fittili, e il reimpiego, nel rudus dello stesso pavimento, di tegole e di parte di una struttura muraria pertinenti, con ogni probabilità, ad un edificio più antico porta a ritenere che l'origine del complesso risalga ad epoca ellenistica-tardo repubblicana e che esso abbia subito, a quanto ci è dato ricostruire, varie fasi di ristrutturazione. A partire dalla zona est, è stata rintracciata una struttura in opus siliceum (A), con grossi ciottoli fluviali imposti a secco senza alcun utilizzo di malta, di pianta rettangolare che corrisponde ad un ambiente la cui funzione non e più definibile. Tale struttura venne coperta successivamente dal pavimento laterizio a cui servì da piano d'appoggio. Essa dovrebbe risalire, in mancanza di dati contrari, ad epoca tardo ellenistica, presumibilmente ad età tardo repubblicana, anche perchè i frammenti ritrovati costituiscono il termine post quem su cui impostare la datazione. Sempre ad est, una struttura più recente (B) databile presumibilmente al I sec a.C. sulla base della probabile connessione con il pavimento a cubi fittili, delimitava un ambiente legato allo sfruttamento della canaletta II in quanto il muro presentava un varco che ne consentiva il passaggio. La canaletta II, di cui parleremo in seguito, e che, come provato, era scoperta determinava la funzione dell'ambiente suddetto: orto, cortile, giardino se era a cielo aperto, stalla, officina, fornace se era coperto. Il muro Bl, a cui in un secondo tempo ne fu addossato un altro, in opus caementicium (C) con ogni probabilità a scopo di rinforzo, trova il suo naturale prolungamento nel tratto H sempre in opus caementicium: entrambi dovevano far parte di un unico grande muro andato in seguito per la maggior parte espoliato. In esso potrebbe essere riconosciuta una delle strutture portanti di una prima fase della domus. Il grande benessere che caratterizzò la prima età imperiale fu all'origine della completa ristrutturazione che interessò l'intera zona est del complesso: il pavimento laterizio (a) fu utilizzato come piano d'appoggio per la pavimentazione di due ambienti più piccoli riconoscibili dalle tracce dei muri, ormai espoliati, che li delimitavano. Dei due nuovi pavimenti (b e y), entrambi in cocciopesto, uno presentava l'inserimento di tessere nere di marmo a scopo decorativo. Nello stesso tempo i vecchi muri (B e C), dopo essere stati livellati, vennero ricoperti, insieme alla canaletta II, dal pavimento in graniglia (d), fondato su preparazione in sabbia, che oblitera di fatto la situazione sottostante. Dentro la canaletta II, inglobata in tale preparazione, è stata recuperata, frammentaria, una coppa in terra sigillata databile, sulla base del bollo in planta pedis e della forma, ad epoca tiberiana-neroniana, in un contesto di altri frammenti tutti risalenti a periodi più antichi. Non sembra possibile parlare di inquinamento delle stratigrafie, in quanto è indiscutibile che la canaletta II non sia più stata in funzione dopo la messa in opera del pavimento a graniglia che l' ha affogata nella sua preparazione sabbiosa: perciò la coppa costituisce a tutti gli effetti il terminus post quem datante il pavimento. Questo fatto, in mancanza di ulteriori prove, ci induce a formulare due ipotesi: la prima, che il pavimento in questione, trovandosi alla stessa quota degli altri quello in cocciopesto e quello a decorazione musiva dati ad età post-augustea l'intera domus; la seconda, che essa rappresenti un'ennesima ristrutturazione di parte di una domus che già comprendeva gli altri pavimenti. Quest'ultima ipotesi appare per molti aspetti la più probabile, vista anche l'antichità del pavimento in laterizio che altrimenti sarebbe rimasto in uso per un tempo lunghissimo, a meno che la parte orientale della domus non abbia continuato ad essere destinata al servizio rimanendo trascurata fino alla metà del I sec. d.C. Sicuramente la nuova domus nata dalla ristrutturazioni doveva possedere stanze ed ambienti di maggior prestigio che possiamo ipotizzare nella parte occidentale. Da quanto siamo in grado di ricostruire attraverso le testimonianze di operai impiegati nella vetreria Del Vivo a proposito dell'esistenza di un secondo mosaico tessere bianche e nere e dal rinvenimento di una ulteriore banda di tessere bianche in margine ad uno dei lati del pavimento a decorazione musiva, la domus doveva estendersi ulteriormente verso sud occupando una area ormai non più indagabile. Prova ne è anche la struttura C che si protraeva verso sud ma della quale non è stato possibile accertare gli sviluppi e l'estensione. Essa consisteva in una preparazione in fittissimi ciottoli di fiume su cui s'impostava un muro in pietre d'arenaria grossolanamente squadrate miste a ciottoli ed a frammenti di laterizi insieme a malta; quest'ultimo muro (C), che rappresenta quanto rimane della parete est del vano col pavimento a decorazione musiva, conservava ancora parte dell'intonaco non dipinto. Parallela alla struttura G correva la canaletta I che presenta un tratto grossomodo rettilineo che scende verso l'Arno con una pendenza costante del 2% e, come la canaletta II, doveva essere scoperta. Essa consta di due condotti: il più basso a sezione leggermente trapezoidale, con il fondo in cocciopesto e le pareti in embrici soprammessi uniti da malta, si apre centralmente sul fondo del condotto più ampio che presenta a sua volta fondo e pareti in malta ed aveva lo scopo di con tenere le eventuali tracimazioni del condotto più basso. La canaletta II, posta ad est della I, procede con la medesima pendenza prima direzione est per poi piegare verso l'Arno, a nord. Essa presenta, insieme alle pareti con embrici soprammessi e tenuti con malta, anche il piano del fondo foderato con embrici. Essendo stato impossibile procedere ad ulteriori indagini possiamo ipotizzare in origine un rapporto tra le due canalette che avrebbero fatto parte di un unico impianto idraulico ad uso domestico. In seguito la canaletta II sarebbe stata chiusa e riempita per costruirvi sopra il pavimento in graniglia (d), mentre la canaletta I sarebbe rimasta in funzione fino alla costruzione della fornace I, la cui installazione, insieme a quella, successiva, delle altre fornaci, sembra già appartenere ad una fase tarda. I pavimenti, la cui varietà tipologica in uno spazio di per sé limitato costituisce un caso eccezionale nel panorama archeologico dell' Etruria settentrionale sono la prova più tangibile di una continuità di frequentazione del complesso. Il più antico fra quelli ritrovati è quello a cubetti fittili e la sua datazione è stata cautelativamente posta alla metà del I sec. a.C. pur tenendo conto che questo tipo di pavimento appare in Italia fin dall'inizio del II sec. a.C. e che, nei vari contesti in cui è stato rinvenuto, esso viene regolarmente datato ad epoca più antica. La cautela nella datazione è suggerita dal fatto che in mancanza di strutture sicuramente pertinenti a questo pavimento possiamo e dobbiamo utilizzare soltanto i dati strettamente stratigrafici peraltro in nostro possesso ed i contesti materiali i quali ci lasciano molti dubbi consentendoci di formulare più di un'ipotesi. Fra queste la più suggestiva ci suggerirebbe di datare il pavimento fittile, secondo la tipologia, ad un periodo più antico e, sulla base di questo, retrodatare i due pavimenti in cocciopesto attribuendo un valore del tutto relativo al ritrovamento della coppa in terra sigillata rinvenuta sotto il pavimento in graniglia ; cosa che per il momento non possiamo fare, per lo meno fino a che nuovi dati non emergeranno dallo studio dei materiali che è tuttora in corso. Questo pavimento in laterizio è composto da cubetti fittili di cm 4 di lato che si appoggiano su una preparazione costituita da frammenti di tegole e mattoni messi per taglio per favorire il drenaggio, probabile riutilizzo di un edificio preesistente identificabile quasi sicuramente nella struttura A ellenistica-tardo repubblicana. I due pavimenti in cocciopesto (a e y) che in un successivo momento utilizzarono il pavimento fittile come base d'appoggio erano pertinenti a due ambienti più piccoli, uno dei quali potrebbe essere interpretato come un ingresso o un vano di passaggio fra due parti della domus, sulla base di confronti con un'analoga situazione rinvenuta a Suasa. Le tessere decorative in marmo bianco inserite nel pavimento di questo vano erano distribuite al di fuori di un ordine apparente. Entrambi i pavimenti in cocciopesto possono essere datati in base alla loro quota che corrisponde a quella del pavimento in graniglia risalente alla prima età imperiale. il pavimento in battuto, definito graniglia, aveva in Origine una grande estensione, dal momento che i frammenti ritrovati sono riconducibili ad un'area di 20 mq e esso doveva estendersi in direzione nord, ma non è stato possibile portare avanti ulteriori indagini. Esso presentava una preparazione accuratissima che consentiva un perfetto drenaggio; fatto che ci può far ipotizzare un suo utilizzo a cielo aperto. Esso era composto, partendo dal basso, da un piano di sabbia alluvionale; da uno strato di ciottoli di fiume a drenare; da una preparazione di piccolissimi ciottoli immersi nella malta; da un battuto costituito da fitte scaglie di calcare e terra pressata. Infine il grande pavimento di 30 mq che finalmente, dopo le segnalazioni degli anni '50', è stato completamente riportato alla luce. Esso non appartiene al tipo di mosaico più comunemente conosciuto, ovvero l'opus tessellatum, in quanto soltanto l'emblema centrale e le fasce marginali sono a decorazione musiva in tessere cubiche (cm 1 di lato) di marmo bianco e nero, mentre la parte restante è costituita da un battuto di scaglie di marmo, calcare e calce. Le fasce marginali sono composte da due file esterne di tessere bianche e sei centrali di tessere nere. L'emblema, in origine quadrato, è stato quasi totalmente espoliato in epoca imprecisabile, forse moderna. E' possibile ricostruire, sia pure in via ipotetica, la decorazione dell'emblema che doveva presentarsi come un quadrato suddiviso in quadrati neri a lati concavi o inscritti in rombi bianchi, inseriti a loro volta in quadrati alternatamente bianchi e neri. Sulla base della quota (-3,35) che lo pone sullo stesso livello dei pavimenti in cocciopesto b e y e di quello in battuto (d), e di confronti, in particolare riguardo all'emblema, con pavimentazioni musive di domus pompeiane possiamo porre la datazione del nostro pavimento al I sec. d.C. e identificare con ogni probabilità tale ambiente con un triclinium. Confermano il prestigio dell'edificio i numerosi frammenti d'intonaci dipinti e di cornici di stucco ed il benessere dei proprietari è posto in evidenza dal pregiato vasellame da mensa come quello in terra sigillata aretina e dagli oggetti in vetro ed in bronzo purtroppo estremamente frammentari. Dopo il I sec. d.C. la domus sembra entrare in una fase di grande declino. A nord viene impiantata, sopra la canaletta I (di fatto distruggendola) una fornace in cui sono stati ritrovati abbondantissimi scarti di vasi a pareti sottili, soprattutto boccalini monoansati "a collarino" la cui produzione è databile fra la metà del II sec. d.C. e il III sec. d.C., ma di cui ad Empoli viene prodotta anche una imitazione locale più grossolana. A questo punto possiamo ipotizzare o un abbandono della domus da parte degli antichi proprietari, quindi un successivo riutilizzo, per mano di altri, delle varie parti dell'edificio oppure che gli stessi proprietari, di fronte ad una decadenza che investe in quest'epoca non solo i singoli centri produttivi italici, ma l'intera produzione ed economia dell'Italia romana, cerchino di rallentare, in questo modo, la progressiva contrazione delle loro risorse. Con l'abbandono, avvenuto in epoca imprecisabile, le strutture della domus vengono in gran parte espoliate fino al crollo e all'oblio dell'edificio. Mappa dei ritrovamenti a Empoli Foto dello scavo (1) Cartina dello scavo Disegno pavimento (1) Disegno pavimento (2) Pavimento a cubi fittili Pavimento a mosaico Foto canaletta Foto delle strutture
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